25-03-2023

Questioni di genere in due ulteriori storie Disney

Rischio di essere tedioso nel riproporre questo argomento, dopo il precedente articolo, ma le questioni di genere rimangono un argomento di mio interesse. Volendo essere clemente, però, col mio pubblico di lettori, ho preferito accorpare le riflessioni che mi sono scaturite dalla lettura di due storie, assai diverse per produzione, intenti e date di pubblicazione.

Qualche tempo fa, lurkando sulla rete, mi imbattei nel blog del prematuramente scomparso Francesco Gerbaldo, un sito che rimase attivo solo per un breve intervallo di tempo (ma avevo avuto modo di leggere i suoi contributi prima sul Papersera e poi sulle testate Disney stesse negli anni passati). In questo blog egli si occupava di approfondire temi della produzione straniera Disney, suo ambito di speciale interesse. In particolare una storia mi incuriosì e mi appuntai mentalmente di recuperarla, ben conscio che non sarebbe mai arrivata in Italia e che difficilmente sarebbe stata ristampata oggi, anche in quei Paesi che una quindicina di anni fa la videro pubblicata: The Divine Ms. Gearloose (D 2005-206).

Fast forward a queste settimane, quando sono finalmente riuscito a mettere le mani su un'edizione brasiliana di suddetta storia, ovvero il Pato Donald 2368. Ma perché una breve storia danese aveva acceso la mia spia? Presto detto: si tratta di una storia , che presenta in modo peculiare per il mondo Disney concetti relativi al genere e alla misoginia.

Chiarisco un primo aspetto in breve: il ruolo della donna nel mondo Disney. Appare evidente che le storie Disney, sia in animazione, che sulla carta, presentano personaggi principali maschili. In essi il lettore/spettatore è chiamato ad identificarsi, quindi le personagge femminili nascono in modo ancillare, ovvero servono ad evidenziare aspetti del protagonista, porre ostacoli o obiettivi, in pratica agiscono come strumenti per una narrazione che non le rende soggetti dell'azione. A questo si aggiunge la natura intrinsecamente satirica delle produzioni Disney, che quindi fonderanno le basi sugli stereotipi e i luoghi comuni legati alle strutture sociali del tempo in cui tali opere sono state realizzate. Una caratteristica, però, del mondo Disney è la sua volontà di mantenere un certo livello di rilevanza nella contemporaneità in cui si muove, quindi al mutare delle sensibilità, anche il ruolo delle personagge si è trovato a cambiare. Ciò si coglie nell'animazione già fra gli anni '40 e '50, col mutare del ruolo di Paperina, che pur mantenendo un sostrato di vezzosità ed egotismo (caratteristiche che solidificheranno la sua personalità anche in iterazioni successive), raggiunge una maggiore tridimensionalità (Donald's Dilemma), anche se sporadicamente (ricordo che dagli anni '50 in poi sono le stesse apparizioni dei personaggi standard al cinema che tendono a diradarsi).

Nei fumetti italiani la causticità del professore Martina aveva settato uno standard riguardo alle interazioni fra i personaggi Disney, che si trovò a doverso confrontare col cambiare dei tempi negli anni '70, ma da prospettive peculiari. La nascita di Paperinika, che da molti viene presa a simbolo din un approccio disneyano alla rinnovata sensibilità, in realtà parte da assunti non propriamente femministi, anzi, strutturandosi come una parodia tagliente dei movimenti femminsiti, venata dalle tipiche retoriche maschiliste. Non era certo un maschilismo militante, ma la rappresentazione delle istanze del movimento passava sotto le lenti dello scetticismo. Non che una sana parodia sulle storture di movimenti dai nobili intenti sia negativa di per sé, ma la natura riduzionistica delle istanze di rappresentazione femminista a nuovo ostacolo per la vita serena del protagonista maschile, fa trasparire intenti diversi: più che problematizzare il ruolo della donna nel mondo Disney, si decide di presenatre la nuova stramberia moderna da mettere alla berlina (come si era fatto per molte altre cose, anche in modo condividibile, data la natura satirica del fumetto Disney, come precedentemente accennato).

Col tempo, però, anche una rinnovata comunità di autori, più giovani (e a volte, guarda un po', anche donne) ha ridefinito il ruolo femminile nelle storie. Da una parte nasceva la volontà di costruire un universo in cui anche personaggi secondari potessero reggere narrazioni autonome e non più essere strumenti per evidenziare caratteristiche del protagonista, dall'altra si capiva come targetizzare una larga fetta di pubblico, che non aveva avuto narrazioni dedicate. Certo, un pubblico femminile può ugualmente immedesimarsi nei protagonisti maschili, ma questi negli anni passati erano risultati come personaggi scritti da uomini con determinate idee di mascolinità e femminilità, per un pubblico in maggioranza maschile. Dagli anni '80 agli anni '90 un rinnovato interesse per l'altra metà del cielo porterà a produzioni con personagge in ruoli più di primo piano e a testate dedicate (le diverse iterazioni di Minni & Co., ma anche i Racconti attorno al fuoco, le Fantaleggende e la centralità delle donne nella saga di Pk). Quindi nuove narrazioni di empowerment femminile e scontro fra la visione maschilista e la rinnovata coscienza di genere delle personagge si fa strada, forse, però, con minore causticità rispetto ai tempi in cui il confronto era pendente dal lato maschilista: i personaggi maschili Disney non possono più permettersi di essere cattivi modelli di mascolinità (anche inconsapevolmente), smorzando il contesto conflittuale in cui le rivendicazioni femministe trovano spazio nel mondo reale.

Quindi, arriviamo al 2007, quando viene pubblicata, in un pugno di Paesi, la storia in questione, The Divine Ms. Gearloose. In questa breve di 6 pagine Janet Gilbert e Maria José Sanchez Nunez presentano Archimede Pitagorico all'opera su una nuova invenzione: un siero in grado, a quanto lui sostiene, di dotare anche gli uomini del sesto senso femminile. Quello che Archimede dimostra, per gli intenti umoristici della storia, potremmo definirlo un maschilismo inconscio, che demarca una differenziazione arbitraria e stereotipata fra donne e uomini, soggiacente a sostrati discriminatori, anche se all'apparenza volta a elogiare una presunta caratteristica propria del genere femminile. D'altra parte potrebbe rappresentare anche una posizione aderente a certe frange del femminismo radicale che individuano delle caratteristiche di superiorità femminile in determinati ambiti, rafforzato da presunte caratteristiche biologiche. Non che non esistano caratteristiche biologiche a separare i sessi, nella maggior parte dei casi, ma ridurre le identità femminili e maschili a deduzioni figlie del determinismo biologico, dà in parte ragione a strawman argument del pensiero maschilista.

L'esperimento, però, ha effetti inaspettati, infatti Archimede trasformato in una donna, dal punto di vista biologico/fenotipico. Appare, però, mantenere la sua identità usuale: non si può parlare di una vera transizione del personaggio, poiché, come si evince dalle pagine seguenti, la sua identità di egnere rimane la stessa. Il trope utilizzato è quello di far vivere il personaggio maschile in un corpo di donna, per educarlo sulla realtà dell'esperienza femminile. Potremmo paragonarlo all'esperienza di Tiresia che ci viene tramandata dalla mitologia classica:

Tiresia fu uomo e fu donna: un giorno, camminando sul monte Cillene, si imbatté nella vista di due serpenti che stavano consumando un rapporto sessuale. Inorridito, uccise il serpente femmina e, subito, si trasformò in una donna. Visse in questa condizione per ben sette anni, sperimentando tutti i piaceri che una donna potesse provare. Al termine dei sette anni, si trovò davanti nuovamente la scena dei due rettili, uccidendo, questa volta, il serpente maschio: tornò, così, uomo.

Un giorno, Zeus ed Era stavano discutendo su chi, tra l’uomo e la donna, provasse maggiore piacere in amore: il padre degli dei era convinto che a trarre un più grande godimento fosse la donna, mentre la dea sosteneva il contrario. Decisero, così, di interpellare chi, tra i mortali, avesse sperimentato entrambe le esistenze: interrogarono Tiresia. Costui confermò quanto avallato da Zeus: la donna provava ben nove delle dieci parti in cui si articola il piacere, l’uomo una sola.

Era, infuriata perché Tiresia aveva svelato un grande segreto, lo accecò; Zeus, invece, pur non potendo restituirgli la vista, giacché un dio non può cancellare ciò che un altro dio ha compiuto, gli donò la facoltà di vedere il futuro e gli concesse di vivere per sette generazioni.

MITI | Tiresia, il cieco indovino che fu uomo e fu donna

Archimede si sente a disagio in un corpo in cui non si riconosce e si affretta a disporre un antidoto, ma la mancanza di determinate sostanze gli impedisce di porre rimedio alla questione immediatamente, portandolo a rassegnarsi a recarsi alla Conferenza degli inventori, alla quale avrebbe dovuto presentare la sua scoperta, come una donna. La soluzione appare quella di adeguare la sua presentazione al sesso biologico a cui momentaneamente Pitagorico si ascrive, per partecipare alla manifestazione. La scelta di un abbigliamento adeguato, una peregrinazione che assilla spesso le persone transgenere, una volta deciso di intraprendere una transizione sociale, colpisce anche Archimede, che trova aiuto inaspettato in Paperina, la quale lo orienta in un mondo a cui non aveva evidentemente prestato interesse e che rivela aspetti positivi non prospettabili (la comodità della gonna).

Già per strada e poi alla Conferenza, Archimede ha modo di verificare la diversa esperienza che le donne hanno nei riguardi dell'aspetto e della sessualizzazione della propria esistenza. Anche vestito modestamente, suscita gli apprezzamenti non richiesti di estranei, che, se inizialmente possono lugingarlo, in seguito, quando questi si verificano nell'ambito adiacente alla sua professione, dove egli vorrebbe essere considerato per il merito dei suoi contributi e così preso sul serio, ne riconosce l'inopportunità e ne è infastidito.

Quello che subisce e che altre colleghe donne sottolineano è come anche in un consesso che dovrebbe essere illuminato, come quello accademico, la presenza femminile viene sminuita e considerata subalterna. Archimede, ora che il suo velo di Maya si è lacerato, decide di rendere un eguale servizio al luminare misogino, sottoponendolo all'assunzione dello stesso siero che ha trasformato lui in donna, facendogli provare sulla pelle come umiliante può risultare, a causa delle sovrastrutture del patriarcato, la vita di una donna.

Nel finale, con tutti gli ingredienti resi disponibili, l'antidoto è preparato e tutto è riportato alla situazione iniziale. Anzi, situazione inziale non si direbbe, proprio perché Archimede, come un novello Tiresia, è ora dotato di una più profonda consapevolezza della realtà dell'esperienza femminile, sia riguardo la discriminazione misogina, sia per quanto concerne la diversità che è riscontrabile nella socializzazione (come vita in società, non capacità di costruire rapporti amicali) femminile, tanto da deciderne di assorbire alcuni aspetti, esemplificati dalla gonna (kilt) dotato di tasche. Questa scelta può indicare una volontà di superare le costrizioni binarie della società patriarcale, costruendo una versione delle identità di genere più aperte alle reciproche influenze, per ripudiarne le tossicità.

La seconda storia su cui voglio concentrare la mia attenzione in questo articolo, è una breve molto recente, ovvero Paperino e il reclamo del mare, di Vito Stabile e Christopher Possenti, pubblicata su Topolino 3512. Ora, ciò che andrò a dire potrà stupire, ma, pur riconoscendo che le intenzioni degli autori sono state sicuramente diverse, difendo l'interpretazione per la quale l'esperienza di un'opera nasce da un equo contratto fra autore e lettore. Per cui ciò che comunica un'opera ad un lettore ha valore indipendentemente se ciò fosse voluto da chi l'ha pensata.

La storia è spiccatamente intimista e si prefigge lo scopo di decostruire un aspetto dato per scontato nel personaggio di Paperino, che però può aiutare a dire qualcosa sull'essenza dello stesso: la sua giubba alla marinara e il suo rapporto col mare. Nonostante abbia da sempre questo abbigliamento caratteristico, la relazione di Paperino col mare non è così netta, come può essere quella di un Popeye: si accenna a sue esperienze passate, ma queste non sono mai lunghe o approfondite abbastanza per giustificare questa scelta di vestiario. Ecco allora Paperino scontrarsi con una sindrome dell'impostore, che prende a tormentarlo nei suoi sogni. Cosa dovrà fare per vincere questo sentimento di oppressione?

Il tema fondante della storia risulta essere la crisi che coinvolge il personaggio circa la sua identità e questo può trovare molti parallelismi nella ricerca della propria identità delle persone che hanno esperienze di genere non conforme e che intraprendono un percorso per l'affermazione della propria identità di genere, sia questa differente da quella presunta alla nascita. Il rapporto di Paperino col la sua giubba e il mare può ricollegarsi al rapporto che le persone transgenere hanno col genere.

Anche una volta che si è realizzata la natura della propria identità di genere, il lungo periodo trascorso socializzando nei panni del genere assegnato alla nascita, può risultare in insicurezze e difficoltà nell'inserirsi nelle sovrastrutture sociali connesse al genere in cui ci si riconosce. Il dubbio di aver fatto la scelta adeguata e il dilemma legato a cosa voglia dire essere un individuo del genere a cui si appartiene può essere una prima tappa del percorso di transizione. Spesse volte per bilanciare la ritrovata identità di genere, le persone che intraprendono i percorsi di transizione possono pensare di enfatizzare quegli aspetti più esteriori e di immediata identificazione in un genere piuttosto che un altro. La pressione sociale di "passare" può influenzare fortemente le modalità in cui queste persone percepiscono di dover esprimere il proprio genere, per gerantirsi l'accettazione da parte del contesto sociale che le circonda. Questa esperienza è ben esemplificata dalla ricerca da parte di Paperino dei modi con cui legittimare la sua identificazione con la vita marinara, agghindando la casa con memorabilia e procurandosi una barca, come una donna trans o un uomo trans farebbero accentuando l'espressione delle proprie femminilità o mascolinità.

Quando, però, l'individuo incontra la barriera che la società impone verso le non conformità di genere, si rende conto che performare nelle modalità esteriormente più convenzionali del genere in cui ci si identifica non è sufficiente per schermarsi dalla discriminazione, avviene la realizzazione che l'autoidentificazione è l'unico vincolo rispetto al quale far derivare la propria identità di genere, indipendentemente dalla propria presentazione performativa e dalla percezione della società. La validazione sociale passa in secondo piano, se la transizione e l'autoidentificazione permette di venire a capo della propria esperienza di genere e della propria realtà interiore. Questo percorso, comune a tante persone gender-non-conforming, viene seguito anche dal Paperino di questa storia, che, vedendosi rigettato il riconoscimento della propria identità, riordina i propri ricordi e riesce a identificare la propria verità personale e quindi la propria identità.

Nonostante le intenzioni degli autori fossero certamente diverse, si può notare come ogni crisi di identità abbia comuni percorsi e la storia di un papero alla ricerca della confermazione sociale del proprio legame col mare possa trasfigurarsi facilmente nella ricerca dell'accettazione da parte di individui che hanno deciso di inoltrarsi in un percorso di transizione per allinearsi alla propria identità di genere. Forse narrazioni di questo tipo potranno essere anche di aiuto ai giovani lettori che si possono trovare in simili situazioni e sono alla ricerca di segnali che la propria situazione non è aliena, ma una normale possibilità della vita, che merita sostegno e non rifiuto, per trovare in sè gli strumenti necessari per affermare la propria identità, qualunque essa sia.