Tito Faraci e i Classici Disney

Ogni letteratura ha i suoi classici e anche il fumetto Disney, che vanta all’attivo centinaia di migliaia di storie, ha i suoi. Alcune sono delle vere e proprie pietre miliari, che hanno introdotto dinamiche nuove che sarebbero state utilizzate costantemente in futuro. È il caso di “Topolino poliziotto e Pippo suo aiutante” e “Paperino e il Natale sul monte Orso”. Molti autori si sono cimentati con questi mostri sacri, tra cui Tito Faraci, che ha dato il suo contributo celebrando questi capolavori in due storie di alto livello.

La strana coppia

Nel 2008, anno dell’ottantesimo compleanno di Topolino, la ricorrenza era passata alquanto in sordina, “pressata” in mezzo a due altri grandi avvenimenti: il sessantesimo compleanno di Paperon de’ Paperoni, che era stato festeggiato nel 2007, e il sessantesimo anniversario di Topolino libretto, le cui celebrazioni avrebbero occupato l’intero 2009. La grande delusione provocata da questa decisione redazionale fu però mitigata dalla pubblicazione di una storia, che, seppur non ufficialmente, ma de facto, omaggiava la nascita del Topo.

Apre infatti Topolino 2717 “Topolino e l’ultimo caso”, realizzata da Faraci con i disegni del maestro Giorgio Cavazzano, a cui è stata anche dedicata la copertina, riprendendo una vignetta di pagina 36 del settimanale. In realtà questa si presenta, già dall’articolo introduttivo, come un omaggio alla cosiddetta “strana coppia, rappresentata dall’acuto Topolino e dello stralunato Pippo.

D’altronde il 2008 è anche il 75° anniversario della storia classica “Topolino poliziotto e Pippo suo aiutante” (in originale “Crazy Crime Wave”) di Merril de Maris (sceneggiatura) Floyd Gottfredson (soggetto e matite) e Ted Thwaites (chine), pubblicata originariamente negli Stati Uniti nelle strisce quotidiane dal 9/10/1933 al 9/1/1934 e per la prima volta in Italia sui Supplementi a Topolino giornale, numeri 12, 13, 14, 15, nel 1934. La storia è quella che presenta Pippo, all’epoca Dippy Dawg e in parte differente dai canoni che si andranno a costituire in seguito, nell’universo delle daily strips, mentre precedentemente era comparso solo nelle tavole settimanali, dallo spirito maggiormente giocoso, solitamente destinate ad un pubblico giovane, mentre le strisce si dovevano approcciare ad una fascia più adulta di lettori. Le sunday pages erano autoconclusive e perciò votate più alla comicità che al delinearsi di una trama strutturata. Il personaggio di Pippo nasce in quest’ottica, così come quelli dei nipotini Tip e Tap e dello stesso Paperino, il quale farà la sua comparsa nello stesso anno.

Nella storia si racconta come Pippo, avendo ricevuto in eredità dallo zio Medoro un’agenzia investigativa, voglia farsi aiutare da Topolino per avviare l’attività. Gli inizi non sono dei migliori, ma in città si profila un caso veramente inusitato, che potrebbe far acquistare onore ai nostri: furti ripetuti di capelli ed indumenti, i quali vengono sottovalutati finché non ne cade vittima il sindaco Scott, che finisce rasato a zero. Dopo i guai combinati dai due improvvisati investigatori, che arrestano la moglie del sindaco e ne distruggono l’auto, essi non vengono considerati all’altezza del compito e ci si affida all’agenzia degli investigatori Barca & C., in lingua originale Barke & Howell. Questi, però, si dimostreranno incompetenti e sarà proprio Topolino ad intrufolarsi nel covo dei malviventi, che avevano rapito Pippo, per scoprire che essi usavano i vestiti e i capelli per stampare banconote false e risolvere il difficile caso.

In “Topolino e l’ultimo caso” Faraci ci presenta una trama che non si ispira principalmente al filone centrale della storia degli anni Trenta, ma ad un caso facente parte della sequela delle fallimentari investigazioni del duo. Si tratta del furto dell’auto del sindaco, che si scoprirà in realtà essere stata presa dalla moglie. La narrazione comincia con l’arrivo di Topolino e di Pippo alla loro vecchia agenzia per sgomberarla. I riferimenti all’avventura del ’34 si sprecano e sono lo zio Howen, ovvero il nome originale del già citato Medoro, che non riuscì a risolvere proprio l’unico caso affidatogli in cinque anni di attività, i vestiti nel baule e i ricordi del caso che avevano brillantemente risolto.

Ma mentre rivangano il passato ecco che il mistero bussa nuovamente alla loro porta. Si tratta di Caddy Carson, un rivenditore di automobili “per tutte le tasche”, come recita lo slogan, il quale sottopone loro il furto di una vetusta auto, “Big Mary”, diventata, dopo essere rimasta invenduta per anni, una sorta di mascotte. Fin dalle prime battute si evince un’ottima caratterizzazione di Pippo, che si riscontrerà in tutta la storia, tramite l’uso di efficaci battute e gag. Dopo il sopralluogo sulla scena del crimine si passa con uno stacco alla sera, presso un Bowling. La scena è particolare, poiché vi troviamo riuniti tutti i personaggi principali dell’entourage di Mickey (eccetto quelli legati all’ambiente del commissariato): Minni, Orazio, Clarabella e Pippo. Ci viene così presentata una uscita fra amici, evento che raramente viene descritto nelle storie, escludendo compleanni e cenoni di Natale. Ed è proprio in questo frangente che ci viene presentato un flashback che ripropone un episodio di Topolino poliziotto e Pippo suo aiutante, che avrà molta importanza per la risoluzione del caso in apparenza banale. Cavazzano, con la sua consueta maestria reinterpreta la striscia YM 33–11–01 e una vignetta di quella YM 33–11–02, per far tornare alla memoria di Topolino il caso fallito all’epoca della vetusta agenzia, riguardante l’ex-primo cittadino.

Topolino non dimentica ciò che è accaduto in passato e rimugina sugli eventi. Qualcosa lo fa rimanere perplesso, ma l’unico a ricordare il particolare determinante è proprio quel Pippo, a volte rimproverato, ma dotato di quell’arguto pensiero laterale, che lo fa passare dall’area dell’ottagono al commento perspicace.

Tornando alla storia, basta aver ricordato che l’auto di Scott era un modello unico per capire che questa e “Big Mary” sono la stessa vettura.

Quindi, presto fatto, una visita alla sontuosa residenza dell’interessato è d’obbligo. Ed ecco entrare sulla scena uno dei tanti “topoi” di Tito Faraci: Scott altro non è che un industriale che si occupa di statue da giardino, come i nani di gesso.

Egli viene presentato come Gottfredson lo ritrae nella seconda parte della storia, cioè completamente rasato, accompagnato dalla consorte e da due scagnozzi dotati di spiccata stupidità, come Faraci sa ben definire.

Intanto l’intuizione dei due eroi si rivela esatta. I committenti del furto di “Big Mary” sono proprio gli Scott, che, vedendo Topolino aggirarsi nell’isolato della vecchia agenzia, vicino all’autosalone, pebsavano che potesse scoprire il loro segreto. Mickey, dopo l’incidente con la moglie del sindaco, si era approntato per riconsegnare la vettura, schiantandosi però con questa contro un albero.

Quell’incidente non era casuale: faceva invece parte delle macchinazioni del primo cittadino. Egli voleva causare un incidente che coinvolgesse se stesso per commuovere gli elettori, essere rieletto e quindi continuare ad usufruire dei vantaggi della carica per i suoi sporchi traffici.

Dopo le spiegazioni c’è spazio per una breve colluttazione ed un rocambolesco inseguimento prima della fine.

È proprio Topolino a narrarci l’epilogo della storia, scrivendo il suo ultimo rapporto. Sono parole intense, da detective hard-boiled, forse un po’ malinconiche ma ottimiste, di cui riporto il finale: «[…] E se non sarò io a cercarmeli… Saranno i guai a cercare me. Come al solito. In fondo, pantaloncini a parte, non sono mai cambiato. E continuo a divertirmi un sacco.[…]».

Questo è il nostro Topolino.

Zii e nipoti

Bisogna sottolineare che questo non è stato il primo approccio dello sceneggiatore di Gallarate con quelle che sono le basi del panorama disneyano. Si pensi alla storia scritta assieme a Francesco Artibani e disegnata da Corrado Mastantuono, intitolata “Topolino e il fiume del tempo”, che si poneva come ideale sequel del corto “Steamboat Willie”, considerato l’atto di nascita del personaggio di Mickey Mouse. Esiste però un’altra esperienza, risalente a solamente un anno prima della storia sovraesposta. Sempre assieme al maestro Cavazzano si trova a sceneggiare “Zio Paperone in:.. un altro Natale sul Monte Orso”, celebrativa della prima comparsa del miliardario più famoso del Calisota, avvenuta nella Barksiana “Paperino e il Natale sul monte Orso”.

Nel 2007 l’anniversario della nascita di Scrooge era stato festeggiato in grande, con la lodevole saga di Fausto Vitaliano “Tutti i milioni di Zio Paperone”, il ciclo Egmont “La Grande Caccia alla Numero Uno” e con la storia di Panaro/D’Ippolito “Zio Paperone e il vortice del tempo”.

Proprio in concomitanza con il periodo natalizio e il restyling del giornale, fu ripubblicata “Paperino sul Monte Orso”, vista per la prima volta su Topolino 455, una versione adattata e considerevolmente alterata e snaturata della prima apparizione del multimiliardario: “Paperino e il Natale sul monte Orso”. È Natale e Paperino e i nipotini non hanno la possibilità di comprare i regali e l’albero, perché sono al verde. Intanto nella sua residenza, quello zio Paperone di cui i nipoti avevano parlato precedentemente prende la decisione di mettere alla prova Donald, offrendogli la sua ospitalità in una baita sul Monte Orso. Le sue reali intenzioni sono però quelle di mettere alla prova il suo coraggio, spaventandolo travestito con una pelliccia d’orso. Entreranno in gioco però nella vicenda degli orsi veri e, in seguito a vari equivoci, Paperone premierà Paperino per il valore dimostrato.

Questa ristampa sarà accompagnata una settimana dopo dall’opera realizzata da Faraci e da Cavazzano. Quello che l’autore si propone di fare è sottolineare la differenza fra il Paperone del Monte Orso e quello odierno. Lo stesso Carl Barks aveva fatto evolvere il personaggio da quella sua prima apparizione e circa tutti i vari autori che vi hanno lavorato sopra hanno fatto sì che il multimiliardario acquistasse una determinata caratterizzazione. Il Paperone del 1947 «tignoso, tirchio, privo di scrupoli» si è col tempo addolcito, grazie al costante rapporto con i nipoti, che lo hanno aiutato nei suoi viaggi, facendogli riscoprire la vita donandogli nuova linfa.

La storia è ambientata nella notte di Natale, in cui lo zione ritrovando la pelliccia do orso che aveva usato anni addietro si meraviglia per il suo cambiamento. Entra in gioco quindi la magia, rappresentata da zio Natale. Egli decide di aiutare Sgrooge a tornare il papero di un tempo, avendo anch’egli un nipote, Babbo Natale, che non sopporta. Lo porta indietro nel tempo a quel giorno. Lo scopo del viaggio è cambiare il passato, cercando di avere successo nel «tirare un brutto tiro» al nipote.

Nel concertare il piano, viene però visto da Paperino, dopo una scena, ripresa completamente da una gag dell’originale di Barks dove uno scoiattolo viene scambiato per un orso. Volendo far sfumare il progetto dello zione, si premunisce con un armamentario da cacciatore e si getta alla ricerca di orsi. Credendo di avere a che fare con Paperone, stuzzica l’orsa, tratteggiata già nel classico barksiano, facendone fuggire il cucciolo, che si caracolla giù da un burrone. Sembra che per lui le speranze siano nulle, ma Donald si fa coraggio e salva l’animale, mettendo a repentaglio la sua stessa vita e suscitando l’ammirazione dello zio, grazie al suo ardimento. Zio Natale, allora, gli rivela che in realtà questa era una lezione per dimostrargli che «[…] l’affetto per Paperino vale più di tutto il tuo oro».

La storia onirico — fantastica ricapitola l’esperienza intercorsa fra Paperone e i nipoti: gli anni non lo hanno rammollito, ma sensibilmente migliorato. Grazie al caro parentado ha riscoperto la bellezza della vita, si è ributtato a capofitto nei viaggi e negli affari. Come ci viene mostrato apertamente è dal Monte Orso che inizia l’Avventura, quella con la A maiuscola, quella che continua tuttora.

Da Tito Faraci — Sassi, criceti e nani di gesso, a cura di Paolo Castagno, La biblioteca del Papersera 2012.

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